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l’evento formativo organizzato dalla Sezione UCID di Roma in tema di “Crisi d’azienda nelle recenti riforme del Codice della Crisi d’Impresa” presso l’Università LUMSA

  • studioavvsoccio
  • 29 apr 2024
  • Tempo di lettura: 2 min

Si è concluso di recente l’evento formativo organizzato dalla Sezione UCID di Roma in tema di “Crisi d’azienda nelle recenti riforme del Codice della Crisi d’Impresa” tenuto presso l’Università LUMSA.




Nel corso dell’incontro, introdotto e moderato dall’Avv. Angela Soccio, sono state illustrate le novità che a partire dal 2005 hanno interessato la disciplina degli strumenti di gestione della crisi d’impresa, fino all’emanazione del Nuovo codice della Crisi d’Impresa (D.lgs n. 14 del 12.01.2019) e i criteri fondanti il nuovo corpo di norme. Nel corso dell’incontro, al quale hanno partecipato illustri relatori quali l'Avv. Maria Agnino, il Prof. Avv. Antonio Caiafa, il Consigliere Dott. Andrea Petteruti (Tribunale di Frosinone, Sezione Fallimentare) e l'Avv. Francesca Romana Capezzuto, è emerso che nel nuovo assetto normativo un’attenzione particolare è rivolta al rilievo tempestivo della crisi d’impresa. L’obiettivo è quello di prevenire, con strumenti di allerta, che si giunga ad una fase patologica e che sia pregiudicata la continuità aziendale, ricorrendo anche in fase preventiva all’aiuto di un terzo esperto negoziatore. Il criterio cardine sul quale si fonda il nuovo sistema è quello della “preservazione della continuità aziendale”. Al centro della riforma vi è la tutela dell’Impresa e della sua continuità nel tempo: il focus si sposta dall’imprenditore all’impresa. Risultano dunque, rispetto al passato, disincentivate le procedure liquidatorie, finalizzate al solo soddisfo del ceto creditorio, e all’esito delle quali la società cessa di esistere. Risultano invece fortemente incentivate le procedure che portano ad un risanamento aziendale (piano attestato di risanamento, concordato in continuità, etc.) e che fanno sì che l’azienda con il suo know how non scompaia dal mercato e venga preservata la continuità aziendale. Dietro a tale impostazione vi è la consapevolezza che tutte le procedure liquidatorie generano ricadute negative sul piano occupazionale, finanziario e più genericamente sociale, e dunque il ricorso a procedure liquidatorie deve costituire l’estrema ratio. Ed è proprio in quest’ottica che è stata implementata la possibilità per l’impresa di richiedere le misure di protezione, finalizzate ad impedire, ad esempio, che il patrimonio aziendale venga aggredito o che venga paralizzata l’operatività finanziaria, in funzione della salvaguardia della continuità aziendale. Il mutamento di prospettiva si riflette anche sulla terminologia adottata: la vecchia “dichiarazione di fallimento”, che poneva l’accento sulle capacità dell’imprenditore, oggi è stata sostituita con la procedura di “liquidazione giudiziale”.



Si è fatto cenno anche agli strumenti di gestione della crisi da sovraindebitamento approntati nel nostro ordinamento per quei soggetti storicamente ritenuti “non fallibili” - quali il piccolo imprenditore, il professionista, la start up, l’impresa agricola – e quindi non assoggettabili alle procedure contemplate nel codice della crisi d’impresa, nonché il ruolo essenziale svolto dagli OCC (Organismi di Composizione della Crisi).

E’ emersa in sintesi, e conclusivamente, la considerazione che solo “la consapevolezza” da parte dell’imprenditore o comunque dell’organo gestorio, può favorire la gestione tempestiva della crisi d’impresa con l’utilizzo degli strumenti di gestione volti alla salvaguardia della continuità aziendale.


 
 
 

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